Rimini Rimini
di Paola Capitani e i Giullari riminesi
paola.capitani@gmail.com – https://giullari.wordpress.com
Indice
- Premessa
- Fellini 100 anni di sogni – Ariminum n. 6, novembre dicembre 2020
- Processo ai padri dei vitelloni, Mario Guaraldi da Corriere Romagna del 18/08/2020
- L’altra faccia di Francesca. Scene dal Canto V dell’Inferno, Mirco Manuguerra
- Tani modi. Siamo gente così, Giorgia Gianni
- Tempio Malatestiano, Massimo Cianfano
- La Marianna – Ristorante
- Riceviamo ed inoltriamo
- Totò – La donna
- Fly di Diana Mann dall’Australia
- Poesie di Paola
- Cervantes da Marco Fantechi
- Letti per voi
Premessa
Dalla Compagnia del Cocomero (2003) ai Giullari senza fissa dimora – agosto 2021
Terribile e awful è la potenza del riso, chi ha il coraggio di ridere è padrone degli altri – Giacomo Leopardi
Una rete di solidarietà e affetto.
Un intreccio di nodi, di trama e ordito
Creatività e entusiasmo, il vuoto è pieno.
Tessuto e trine, testi e parole, molto di più.
Trame di conoscenza e empatia
Solidarietà e simpatia per vivere bene
Superare le ansie quotidiane.
Comunicazione e solidarietà Paola Capitani
Decalogo dei Giullari senza fissa dimora che vanno qua e la
1. Ascoltare 2. Coinvolgere gli indecisi 3. Difendersi dai negativi 4. Rompere i gusci 5. Liberarsi dai lamentosi 6. Resistere agli aggressivi 7. Rispettare le differenze 8. Sgonfiare i palloni 9. Sopravvivere agli inaffidabili 10. sorridere
La Compagnia Giullari senza fissa dimora, eredita la tradizione di Villa Il Teatro, a Pian dei Giullari a Firenze, dove venivano da tutte le corti europee per apprendere l’arte del giullare e del menestrello. Da un vecchio documento ritrovato, la tradizione torna ad animare una professione che aveva teatralità e fantasia, ma soprattutto autonomia e eccentricità … Giullari uniamoci e contagiamo chi non ha ancora capito il gioco del vivere ironicamente il quotidiano. L’arte ci consente di esprimerele nostre emozioni, di manifestare quanto ci appartiene e che spesso abbiamo timore ad esprimere.
La Nuova Compagnia del Cocomero, nata nel 2003 dalla Rete di Solidarietà del Comune di Firenze, aveva questi obiettivi: portare allegria e amenità, giocare scherzando e scherzare giocando.
Il gioco è una delle prime espressioni del bambino, che manifesta il suo carattere e le sue tendenze, secondo un rituale molto serio e impegnato. Homo ludens di Huizinga. Il trucco c’è: riprendersi spazi e interazioni, salvarsi da aridità e egoismo, dalla superficialità e dall’apparenza: momenti magici, con la fantasia, creando complicità innocue e profonde, scambi di umori e di tensioni, recuperando un benessere interiore, senza controindicazioni e senza costi.
Lo stile è quello della Banca del Tempo, dare agli altri il nostro tempo e le nostre competenze in un libero scambio con gli altri, dallo scambio casa alla coabitazione (cohousing), alle case artisti e alle case del cuore, alle residenze solidali.
Dal 1 settembre i Giullari che aderiscono al progetto “10 euro a notte” ospitano con tale cifra chi intendono avere per una o più notti … come minimo rimborso spese…
Benvenuti a coloro che vogliono mettersi in gioco, con energie positive, lasciando tensioni e ansie, amarezze e aridità, collaborando con elasticità e serenità, entusiasmo e generosità di animo. Ogni intrattenimento e incontro risente degli attori di turno, diversi per età, provenienza, conoscenze, esperienze, grazie all’elemento che unisce il gruppo: benessere e complicità.
Ad oggi Giullari da Belluno a Cefalù, da Rimini a Nicola di Luni, da Viareggio a Bari con collegamenti con altri gruppi, con progetti di momenti ludici, viaggi, cene, che aiutano a conoscersi condividendo sentimenti ed emozioni. Paola Capitani
La tua ansia ti sembra gigantesca come un baobab, ma con l’impegno troverai dentro di te la forza di ridurla in un bonsai (Amelia Pelatti)
Giullare – Nel medioevo, girovago la cui professione era quella di esibirsi nelle corti, o nelle piazze durante le fiere, come buffone, saltimbanco, giocoliere, cantastorie, musico, ballerino ecc. Non percepiva salario ma veniva ospitato e nutrito per la durata della sua permanenza a corte.
La lettura è il viaggio di chi non può prendere il treno (De Croisset)
Te con brio
Nasce venti anni fa da Gilda Bistrota Firenze, in piazza Ghiberti (mercato di Sant’Ambrogio) prosegue al News Cafè a Firenze in piazza Madonna degli Aldobrandini (mercato di San Lorenzo), al cafè Savoia e al Caffè Cavour a Rimini, a Padova allo storico caffè Pedrocchi, al bar di Villa Pecori o all’Osteria del caffellatte a Borgo San Lorenzo: incontri ameni con persone che amano incontrarsi con calma per comunicare e interagire e soprattutto libera ..mente.
Dopo gli incontri a Sassoerminia a Novafeltria (www.sassorminia.it), a Rimini (www.bekind.it), a Nicola di Luni (SP) alle Ragazze del borgo, nel 2017 il cioccolato, poi Piante e fiori (a maggio), a giugno a Rimini nella Pescheria del Settecento il Festival del cuore, con Riminiricama (www.riminiricama.it), Libreria Mondadori di Rimini, l’Associazione Piccoli Grandi Cuori (www.piccoligrandicuori.it) e i Giullari senza fissa dimora https://giullari.wordpress.comt).
Da giugno 2017 il Teatro in casa con Roberto Venturi e gli attori (robventuri @gmail.com) le letture sceniche presso abitazioni e giardini privati, a Firenze e a Rimini. A Rimini alla Libreria Mondadori, piazza Tre Martiri, alla Biblioteca Gambalunga sezione Mediateca, al Museo della Città, alla Libreria Todo Modo e alla Biblioteca delle Oblate, a Firenze, e nella magica sede di Aquaflor in borgo Santa Croce, tra profumi e arredi d’epoca.
Il fine dell’arte inferiore è piacere, il fine dell’arte media è elevare,
il fine dell’arte superiore è rendere liberi
Fellini 100 anni di sogni – Ariminum n. 6, novembre dicembre 2020
Spesso ciò che rincorriamo sfugge… quando ci fermiamo, a volte, ci viene incontro. Lara Swan
Processo ai padri dei vitelloni di Mario Guaraldi da Corriere Romagna del 18/08/2020
Processo ai padri dei “Vitelloni” di Mario Guaraldi
Un bel servizio di Matteo Sacchi su Il Giornale, dedicato al recente” Processo ai Vitelloni” celebrato a San Mauro Pascoli, secondo la consolidata e brillante “formula” di dibattimento culturale inventata da Miro Gori – che ha visto in passato processare fra gli altri Giuseppe Garibaldi, il Passatore e Giulio Cesare – mi stimola qualche riflessione. Perché questa volta, sotto processo, non c’era un personaggio storico, ma una generazione intera, quella dei Vitelloni appunto, raccontata in uno dei film più belli del primo Fellini. Il processo si è concluso con un imprevisto e inedito verdetto di parità assoluta, un paradosso statistico alla conta delle palette alzate in sala dagli spettatori: dunque, né colpevoli né innocenti.
«I Vitelloni restano un monumento alla peggio gioventù maschile, regredita al comodo eterno stato infantile, mammoni e traditori, bandiere di una inconcludenza che è indifferenza. Bighellona, bovina, bulla, banale, irredimibile. In un’Italia che riparte dopo il dramma della Guerra, i Vitelloni rispondono con l’emblematico gesto dell’ombrello di Alberto Sordi a chi lavora»: così l’Accusa. Ed ecco la Difesa: “«Io non difendo il Vitellone ma lo elogio: è l’archetipo dilatato dell’Italia. La società ci rende ingranaggi di un sistema, il Vitellone esce dagli schemi. È un non integrato, un individualista che risponde solo a sé stesso… ».Un’arringa che corrisponde in tutto e per tutto alla storia e al carattere del facente ruolo di avvocato difensore che la pronuncia.
Ed ecco il commento di Sacchi: “Non possiamo incriminare i ragazzi di Fellini. Sarebbe un autoaccusa. Nei Vitelloni c’è tutto il male dell’edonismo e dell’individualismo italico e tutto il bene. Ed ecco che allora si sospende il giudizio, come guardando una nostra foto giovanile… Che faccia da schiaffi quella di allora certo, però era la nostra, la più vera, onesta. E quel ritratto felliniano della piccola rivolta individuale, a volte un po’ menefreghista,non può essere soggetto a sentenza. Non ne abbiamo il cuore, non abbiamo le pietre da scagliare, le dovremmo levare dalle fondamenta dell’io”.
Che bello! Raccattare i sampietrini del nostro cuore, pronti a scagliarli contro la peggio gioventù attuale – i nipotini dei Vitelloni – che per ferragosto ha contraddetto tutte le norme imposte dalla prudenza verso il mostro sempre in agguato, il Covid; per poi subito gettarli a terra, come al processo della Torre Pascoliana…
Giudizio sospeso? Peggio : impotenza di Giudizio. Parità esatta fra colpevolisti e innocentisti, come per tutti i grandi processi recenti, come per la politica del nostro Paese dai tempi di Berlinguer. Un Paese perfettamente spaccato a metà, dove solo la compravendita di qualche voto al centro sembra poter spostare l’asse della bilancia, dal giallo-verde al giallo-rosso, da centrosinistra a centrodestra o viceversa. Berlinguer cavalcò per questo la speranza di un “Compromesso storico”, non si può governare un Paese rincorrendo anche solo l’uno per cento di vantaggio. Poi il Paese precipitò negli Anni di piombo, scivolò negli anni della corruzione generalizzata fino al giustizialismo di Mani Pulite, annaspò nel rigurgito berlusconiano, nei grandi tradimenti che hanno affossato Prodi e Letta, fino alla situazione attuale. L’Italia sembra diventata davvero una Grande (Im)Potenza!
Ci sono delle parole che non riesco a memorizzare tanto forte è il processo di rimozione con cui il mio inconscio si difende dai loro contenuti minacciosi. Una di queste parole è ” ENTROPIA “: ha a che vedere, credo, con lo stallo del giudizio sui vitelloni contemporanei (e di quelli futuri), quelli delle follie ferragostane e delle drammaticamente esilaranti interviste su Facebook de “Il milanese imbruttito”, guardatele, roba da brivido. L’etimologia della parola entropia, composta dai termini “dentro” e “trasformazione”, ci dice di una misura del disordine. Anche se originariamente fa riferimento alle tre Leggi della Termodinamica, oggi il concetto di entropia va molto di moda applicato alla teoria dell’informazione: una goccia d’inchiostro lasciata cadere in un bicchier d’acqua, o una boccettina di profumo lasciata aperta, innescano un processo caotico di disordine non rimediabile. Lentamente, l’inchiostro intorbida tutta l’acqua e le molecole di profumo evaporano del tutto! Parimenti, le cacate depositate da cattivi giornalisti fra le righe dei loro cattivi articoli ammorbano l’aria culturale di chi legge per giorni e anni… Stefano Carluccio dedica a sua volta a questo tema, un bel servizio sul redivivo “Avanti!”, intervistando uno studioso ebraico di Cabala: in ogni essere umano – scrive – c’è la tendenza ad autodistruggersi, la Paura è una Trappola, l’individuo spaventato si ammala più facilmente. La Politica, uguale, aggiungo io. Questa è la stagione di una politica malata. Conclusione: ” La sapienza è preparare un vaccino contro l’entropia umana, contro il disfarsi, contro il disorganizzarsi”. Questo vaccino si chiama banalmente “cultura”.
Abbiamo colpevolmente rinunciato a capire cosa si combatte nel cuore delle nuove generazioni di vitelloni, poveri bambini abbandonati a loro stessi da una generazioni di padri e di madri che non si sono neppure posti il problema di educarli, perché loro stessi “individualisti che rispondono solo a loro stessi” (per riprendere l’apologo del cattivo avvocato difensore): lo sguardo posato sempre altrove, stessa ansia di “possedere” e di “apparire” dei loro figli viziati che si credono onnipotenti mentre sono solo divorati dal timore del giudizio altrui.
E’ la generazione dei padri dei Vitelloni a dover essere condannata
L’ALTRA FACCIA DI FRANCESCA di Mirco Manuguerra
Scene dal Canto V dell’Inferno
C’è un momento nel Canto V dell’Inferno dell’Inferno dove la scena cambia
radicalmente. Si trova al centro esatto del componimento (vv. 70-72), in una terzina
che lo divide in due parti uguali (69 versi prima e dopo, ad eccezione dell’ultimo,
sempre scempio, che qui si pone a vero e proprio epilogo) ma nettamente
contrapposte:
Poscia ch’io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
Nella prima parte del Canto Dante ha trattato delle «donne antiche e cavalieri», ora
tratterà dei due giovani suoi contemporanei.
Si tratta di un momento fatale: d’un tratto Dante è colto da «pietà», che non è mai
quaggiù nell’Inferno la pietas cristiana, ma solo pura ‘angoscia’. È il momento
preciso in cui Dante trasale riconoscendo nell’immenso bailamme della «bufera
infernal» le anime dei due cognati (vv. 73-75):
Io cominciai: “Poeta, volentieri
parlerei a quei due che ‘nsieme vanno
e paion sì al vento esser leggieri”.
La critica ha sempre pensato che Dante abbia riconosciuto i due giovani perché sono
in coppia («insieme vanno»), invece questo è solo un dato di cronaca; in realtà li può
riconoscere solo perché essi sono ‘più leggeri di ogni altro spirito’: «e paion sì al
vento esser leggeri»…
Dobbiamo pensare, in forza di quel che Dante dice, che se gli altri spiriti sono più
pesanti, allora i due cognati volano nella bufera più in alto di tutti e sono là, soli,
perfettamente riconoscibili quando il vortice del vento li porta proprio di fronte allo
sperone di roccia dal quale Dante e Virgilio stanno osservando la scena.
Dante, allora, su indicazione di Virgilio, chiama i due dannati a sé (vv. 80-107):
[…] “O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri non niega!” 81
[…]
«O animal grazioso e benigno,
che visitando vai per l’aere perso
noi, che tignemmo il mondo di sanguigno, 90
se fosse amico lo re de l’Universo,
noi pregheremmo lui de la tua pace
poi ch’hai pietà del nostro mal perverso. 93
Di quel che udire e che parlar vi piace
noi udiremo e parleremo a vui
mentre che ‘l vento, come fa, ci tace. 96
Siede la terra dove nata fui
su la marina dove ‘l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui. 99
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor mi offende. 102
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte
che come vedi ancor non m’abbandona. 105
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
E a questo punto che avviene? Avviene che Dante risponde chiamando
clamorosamente Francesca per nome (v. 116):
«Francesca…»
Francesca? E chi gliel’ha presentata? Nessuno. Virgilio gli indica e gli nomina a dito
più di mille ombre, ma – con certezza assoluta – non quella di Francesca. Dante,
perciò, conosce Francesca, il che significa che tutto ciò che Francesca andrà a
significare sarà cosa propria del Poeta. Anche lei, infatti, non può che essere una
proiezione dell’interiorità di Dante, esattamente come le tre fiere del Canto I (le
Tentazioni) e lo stesso Virgilio (la Ragione): tutto il cammino della Commedia non è
altro che il susseguirsi della proiezioni di una quantità immane di ologrammi prodotti
dalla psiche del Dante-protagonista.
Ed ecco la testimonianza resa da questa Francesca (vv. 127-138):
«Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancillotto come amor lo strinse;
soli eravamo, e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse:
quando leggemmo il disiàto viso
esser baciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
Qui c’è un altro passo cruciale: «Quel giorno più non vi leggemmo avante» (v. 138).
Sì, è ben vero, ma non perché i due amanti subirono l’uccisione nel corso di quella
loro prima occasione licenziosa – la loro storia (o leggenda) non si può narrare così –
ma perché da quel momento in poi i due giovani avevano trovato un modo ben più
dilettevole di passare il tempo che non il completare un corso di letteratura…
Ciò che è accaduto a Paolo e Francesca è che da quella sera fatale finiscono per
diventare succubi della loro passione. Il crudo desiderio che li legava, il puro istinto
che li bruciava, hanno segnato la loro condanna.
Insomma, diciamolo chiaro: Paolo e Francesca sono i classici tipi che hanno
scambiato il sesso per l’amore. La loro relazione è da subito trasformata in vizio, il
quale, regolarmente ripetuto, porta entrambi alla schiavitù del gesto. Un gesto di cui
non sanno più fare a meno.
Che per Dante sia una questione di Etica, non tanto di Morale, è facilmente
dimostrabile. Il punto è che noi dobbiamo essere sempre presenti a noi stessi. Non
possiamo – come si suol dire – “perdere la testa” e Dante lo dice molto chiaro: «qui
enno dannati i peccator carnali che la Ragion sommettono al talento». Non si può
sottomettere la Ragione al piacere corporale, alla furia dei sensi.
E per coloro che vogliono a tutti i costi vedere in Paolo e Francesca due innamorati,
dov’è mai che si parla di innamoramento? Non ci rivela forse Francesca che “soli
eravamo e sanza alcun sospetto? Due innamorati sospettano, eccome, di trovarsi uno
nelle braccia dell’altro!
E ancora: è ben vero che Francesca pronuncia per tre volte la parola “Amore”, ma di
quale Amore stiamo parlando? Siamo davvero sicuri che nel lungo percorso di
elevazione del Poema noi ci si debba fermare proprio alla prima occasione, qui
nell’Inferno? Siamo davvero certi nel prestar tanta fede a Francesca?
L’Inferno è un percorso pieno di trappole e il problema vero è che non è solo il
personaggio virtuale di Dante a doverle eludere grazie all’assistenza di Virgilio:
siamo NOI ad essere chiamati a distinguere; siamo NOI ad essere messi
continuamente alla prova da questo gigante che si chiama Durante degli Alighieri,
perché è proprio lui che ha disseminato il suo inferno di queste trappole mortali!
Francesca, descritta tanto “leggera” dal poeta, è l’esatta trasposizione
Tani modi … siamo gente così di Giorgia Gianni
Tutte le strade portano a Roma… ma prima partono da Rimini. La via Flaminia, che parte dall’Arco di Augusto e attraversa il centro dell’Italia fino alla Capitale; la via Emilia, che sempre dall’Arco si dirige invece a nord e giunge a San Giuliano Milanese; la Popilia, che passa per Ravenna e arriva fino ad Adria. Rimini è città di frontiera, porto di mare e luogo di incroci da sempre, ben prima dall’avvento del turismo internazionale, e questa caratteristica di apertura e ospitalità (e anche un po’ di disincanto) è parte fondante dell’identità della città e dei suoi abitanti. E a scartabellare fra antichi documenti e archivi, si scopre che i “vitelloni” raccontati dal grande Federico Fellini, riminese, erano come i loro avi di secoli prima.
Il cavaliere e gentiluomo riminese Claudio Paci, alla fine del ‘500, dice che i riminesi sono più inclini alle “mollitie” che “all’armi”, mentre un secolo dopo lo storico Cesare Clementini (1616) scrive che sono di “bell’ingegno, se bene di tardo moto nell’applicarsi”, “di natura più flemmatici che collerici”, prudenti, ospitali, poco campanilisti ma invidiosi nei confronti dei più capaci e fortunati.
E’ invece il 1652 quando tale Celimauro, cavaliere giunto dal Nord Europa (addirittura dalla Norvegia) accusa i riminesi di giacere “mortificati da un ozio che vi avvelena il valore, mentre obliate la lizza di Marte per dar forse campo migliore ai brindisi di Bacco e agli amplessi di Venere”. Stesso giudizio dato nel 1660 dal Governatore di Rimini monsignor Angelo Ranuzzi, bolognese, che scrive che riminesi “vivono uniti e con quiete, più inclinati a tenerezza che a ruvidezza d’affetti, e più dediti all’amoreggiare che al combattere” e “riescono più amatori dell’ozio che del traffico”, “per natura queruli e litigiosi”. Ancora, gli aristocratici riminesi del ‘600 “si privano talvolta de’ propri stabili, nè si dolgono di avere le borse esauste di denari”. Ed è il 1864 quando la guida alla città scritta da Luigi Tonini racconta ai visitatori che “il riminese per indole d’ordinario è pacifico”, “piuttosto lento che precipitoso”, “basso estimatore di sè e de’ suoi, spesso preferisce le straniere alle cose paesane”.
Che sia tutta colpa dell’astrologia? Nel 1613 il Consiglio di Rimini incarica il segretario comunale Malatesta Porta di approfondire sotto quale segno zodiacale ascendente ricada la città. Il Cancro di Sigismondo Malatesta, raffigurato in una famosa formella del Tempio Malatestiano, o come sostengono altri lo Scorpione? Ci vorranno dieci anni per decidere che il segno ascendente di Rimini è quest’ultimo: segno d’acqua, aperto espansivo, grintoso, ma ogni tanto con la “gnorgnia”, come ricorda l’astrologa locale Rosanna Bianchini: “espressione dialettale intraducibile a livello letterale che indica uno stato d’animo di scontentezza anche se tutto è tranquillo; cosa c’è di più scorpionico? Senza parlare poi dei momenti in cui tira il garbino, vento caldo da sud ed allora il riminese doc può dare di testa e dare la colpa al garbino!”. Giorgia Gianni – giornalista professionista
Tempio Malatestiano di Massimo Cianfano
Oltre l’arco di Augusto, oltre il ponte di Tiberio oltre il castello Sismondo o se si preferisce la fortezza, e ancora il “foro romano”, ora rinominata piazza tre martiri, (dedica per tre uomini uccisi da nazi-fascisti nell’ultimo conflitto mondiale), dove Giulio Cesare, si dice, pronunciò la famosa frase “alea iacta est”. Il Tempio malatestiano è notoriamente uno dei maggiori simboli con il quale s’identifica la città di Rimini. E possiamo aggiungere, anche se da poco tempo, il “grande Hotel” ora diventato museo e reso celebre da un altro grande monumento, non certo di marmo della città di Rimini, Federico Fellini: famoso nel mondo, e non solo cinematografico, che con il suo talento ha meglio rappresentato l’Italia e la città di Rimini, e la città s’identifica in Lui.
Questa digressione era doverosa. Tornando al titolo per il quale ho iniziato quest’articolo. il Tempio nasce come luogo di trascendenza, credo, se non ricordo male, nell’ottavo secolo dopo l’anno zero, si trasforma in luogo simbolo del potere terreno, nel primo terzo di secolo dell’era Rinascimentale, per poi tornare ad essere luogo di culto, di raccoglimento, di preghiera per i cristiani. Questo è stato, ed è tuttora, il tempio malatestiano. Attualmente duomo e cattedrale di santa Colomba.
A Matteo de Pasti medaglista e architetto veronese, al signore di Rimini, commissionò la riconversione degli interni, mentre a Leon Battista Alberti, – anche se erroneamente molte persone identificano nell’Alberti il progettista del Tempio -, in un secondo tempo fu affidata la sistemazione esterna la quale, tra l’altro, prevedeva nei lati più lunghi del tempio, nelle polifore o archi a base piana, la realizzazione di incavi profondi dove allocare i sarcofagi dei “de cujus” della famiglia, oltre la collocazione tra gli archi stessi di medaglie commissionate sempre a de’ Pasti da Sigismondo Pandolfo Malatesta, raffigurante l’effige del signore di Rimini e dell’allora sua moglie – ebbe tre mogli e sei figli -.
La costruzione prenderà il nome di “Tempio malatestiano” toponimo con il quale volle celebrare i fasti della sua potenza.
Semplice ma nello stesso tempo bellissima costruzione; all’interno vi lavorò Giotto da Bondone e Piero della Francesca, il quale realizzò l’affresco che vede Sigismondo Malatesta in ginocchio, davanti al santo di cui porta il nome: san Sigismondo, invocare la sua protezione sopra di lui.
Fu condottiero o se preferite soldato di ventura, signore incontrastato della città di Rimini. Visse, appunto la sua vita, guerreggiando e, secondo gli storici, non fu molto leale con i suoi alleati, nemico giurato del duca di Urbino: Federico da Montefeltro.
Si creò nemici uno su tutti il papa di allora: Pio II (Enea Silvio Bartolomeo Piccolomini). E come spesso accade, in tale situazione, prima o poi ci sarà la vendetta e questo si verificò puntualmente. La Repubblica veneziana, a quel tempo, alleata alla “santa sede” (mi riesce difficilissimo usare questo termine: sarebbe come pensare che nei bordelli ci siano le vergini) sostanzialmente lo tradì: nella crociata verso la Morea ebbe molto meno provviste, armamenti, soldati e viveri di quelli che pattuì con la “Serenissima”. In questa situazione tutto andò a… ramengo. Malatesta ebbe la peggio nello scontro con i rivali.
Pensando di trovare ricchezze e onori e terre trovò solo sconfitte disonore e tradimenti.
Ma sopra ogni situazione anche la peggiore nulla fu in confronto della disfatta totale che dovette subire dal duca di Montefeltro. Cagione della sua caduta in totale disgrazia.
Il Tempio è sopravvissuto a tutto e tutti: Bello, maestoso nella sua linearità progettuale
elegante e discreto negli interni, così appare ai miei occhi.
Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della nujova culotura che fiorità, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di avere vinto. Giordano Bruno
La Marianna – Ristorante
Dal mare alla tavola – Una storia di ristorazione lunga oltre un secolo …
La Storia
Già da inizio ‘900 chi da nord entrava in Rimini, prima con i cavalli poi con le auto, non poteva passare indifferente di fronte alla trattoria “La Marianna” che proponeva ai passanti della via Emilia, i piatti tradizionali del pescato riminese. Sita a pochi passi dal celebre Ponte di Tiberio, offriva oltre al ristoro la possibilità di alloggiare al piano superiore.
Dal mare alla tavola – Una storia di ristorazione lunga oltre un secolo …
La Tradizione
La Signora Marianna cucinava in una piccola stanza i piatti basandosi su quanto fornitole dai pescatori, residenti nelle vicine case del borgo.
I pochi piatti tradizionali ma di buona qualità vengono da oltre 100 anni serviti a “La Marianna”, che vanta della quarta gestione diretta da Mirko Monari, Giuliano Canzian ed Enrica Mancini, già titolari della vicina “Osteria de Borg” e “Ristorante Dallo Zio”, i quali vogliono rendere La Marianna la vecchia “Trattoria di mare”.
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Landart al Furlo a Casartisti da Andreina De Tomassi – 21 agosto 2021
m.Facebook.com/groups/casartisti/
Mostra “Gli archibugi bolognesi”, il 28 e 29 agosto a Bargi nell’Appennino bolognese, vicino a Castiglione dei Pepoli , nello storico palazzo Comelli per la mostra dei fucili bolognesi a cura dell’Associazione ABC di Lagaro di Claudio e Fabio Righi e di Acquafresca
La panchina si trova presso la 7gold di Bologna di Luigi Ferretti e trasferita poi in estate alla nuova darsena di Rimini
Totò – La donna
Chi l’ha criata è stato nu grand’ommo,
nun ‘o vvoglio sapè, chi è stato è stato,
è stato ‘o Pateterno? E quanno, e comme?
Ch’avite ditto? ‘o fatto d’ ‘a custata?
Ma ‘a femmena è na cosa troppo bella,
nun ‘a puteva fa cu ‘a custatella!
Per carità, non dite fesserie!
Mo v’ ‘o ddich’io comm’ è stata criata:
è stato un lavoro e’ fantasia,
è stata na magnifica truvata,
e su questo non faccio discussione;
chi l’ha criata è gghiuto int’ ‘o pallone
L’uomo passa la sua vita a ragionare sul passato, a lamentarsi del presente, a tremare per l’avvenire (Antoine de Rivarol)
Fruit Fly da Diana Mann Australia
Un problema in Australia è la “fruit fly”, un insetto che entra nella frutta e causa molti problemi. E’ una infestazione che viaggia rapidamente. Quando accade deve essere eliminata subito per evitare un grande problema. Uno spreco di tempo e denaro per i produttori.
L’Australia è un grande produttore di frutta e così va evitata l’infestazione che deve essere sradicata immediatamente per evitare una grave perdita per i produttori e per i consumatori. Così spesso vediamo nei sobborghi gli ispettori in cappelli da sole, con camici arancione e machere (quasi misteriosi e soprannaturali), che controllano i giardini. Mettono trappole dai colori vivaci e il miele per attirare gli insetti, con l’attenzione a distruggere subito la frutta caduta.
E’ un problema importante per tutti che amiamo la nostra frutta nel sud dell’Australia che è anche un grande produttore di vino, una industria molto importante per la nostra economia, e i nostri vini sono venduti in tutto il mondo e apprezzati da tutti. Molti hanno gli alberi da frutta nel loro giardino e abbiamo un clima mediterraneo che ci consente di produrre frutta e verdura per quasi tutto l’anno
Non è permesso di importare frutta dagli altri stati dell’Australia per evitare l’infestazione. Se si viaggia in auto fuori dal proprio stato quando rientriamo siamo fermati per il controllo sulla frutta che trasportiamo,
P.S. – Diana Mann vive in Australia e ha frequentato un corso di italiano a Firenze e poi in Austalia, dove la sua insegnante ha ben 99 anni!!
La moderazione è qualcosa di fatale…il
sufficiente è deprimente come un pasto
regolare …il sovrabbondante gradevole
come un banchetto Oscar Wilde
Poesie di Paola Capitani
Bar sul porto (Rimini 2010)
Mare in tempesta
folate di vento
gabbiani intimoriti dal vento e dalla pioggia
surf coraggiosi
solcano le onde.
Le vele tese alle raffiche violente
colorati spinnaker trainano
le incerte imbarcazioni
che sembrano soccombere
alle folate di vento.
Paesaggio autunnale
che intimorisce il pavido
Pura adrenalina per chi ama il pericolo
e le forti emozioni. La verità abita nel cuore dell’uomo (S. Agostino)
Luna sul ponte Tiberio (Rimini 2010)
Le arcate marmoree
si riflettono silenziose nel canale
controllato da mute imbarcazioni.
Vigili sulla vita e gli eventi
sotto le stelle d’agosto
con la luna piena dubbiosa.
Sulle magie e gli amori
in una altalena fantastica
di impercettibili sussurri.
Grand Hotel (Rimini, marzo 2018)
Emblema di un mito e di un’epoca
di storie e amori, di fascino e fantasia.
Elegante e severo di fronte al mare
solido nella struttura, sereno nelle linee.
Un sogno per molti
che spesso non ne hanno varcato la soglia.
Un fascino e un’immagine ferma nel tempo
sogni e progetti, di magia e alchimia.
Riva sinistra del molo (Rimini,2014)
Uomini rudi, forti, stranieri,
nelle tute gialle di plastica
incappucciati e con gli stivali.
Movimenti rapidi e scarni,
barbe incolte, idiomi diversi
gesti rapidi per riempire col pesce le casse di ghiaccio.
Un raggio di sole magico obliquo
sulla ruota panoramica e sul faro vecchio.
Arco di Augusto (giugno, 2014)
Nell‘aria salmastra il profumo dei tigli,
la giacaranda e gli oleandri,
dopo il tunnel ombroso e fresco
l’arco di Augusto: possente, superbo, sobrio.
Accesso da Roma, dove legioni hanno
segnato il tempo, dirette al castrum
di cui oggi si vedono i resti e le linee.
Una civiltà millenaria con segni tangibili
non solo di marmo, nella storia,
nella memoria e nel tempo.
A questo proposito metto qui le parole ispirate al Don Chisciotte di Miguel de Cervantes. Perché i sogni continuino ad essere coltivati e a fiorire. Come fai te meglio di me, ma anche io ci provo e ci proverò fino all’Alzaimer
«A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento.
Ai pazzi per amore, ai visionari,
a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.
Ai reietti, ai respinti, agli esclusi. Ai folli veri o presunti.
Agli uomini di cuore,
a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.
A tutti quelli che ancora si commuovono.
Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.
A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato.
Ai poeti del quotidiano.
Ai “vincibili” dunque, e anche
agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.
Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.
A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali,
ancora si sente invincibile.
A chi non ha paura di dire quello che pensa.
A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà.
A chi non vuol distinguere tra realtà e finzione.
A tutti i cavalieri erranti.
In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene…
a tutti i teatranti». da Marco Fantechi de La Nuova Calducci di Firenze
“Amarcord”: Fellini ricorda la sua infanzia nella sua Rimini degli anni ’30
Poesiola a quattro mani di Massimo e Paola
Un giorno un bel bambino
Venne al mondo piccolino
Da Olimpia generato
A provar questo creato
Centocelle la sua tana
E gli amici .. che banda strana
Ma tra bulli e delinquenti
Negli oratori malfacenti
A lavorare d’un botto
Si ritrova giovanotto
Poi si sposa ed ha figli
Gira e viaggia tra gelsomini e gigli
E chi trova nel Mugello?
Una zingara senza cervello!
Si traveste da Aladino
Galoppa alè .. come un fantino
A Cefalu’ cerca il futuro
Ma solo a Lucca è al sicurp
Finalmente non va a tentoni
Ma felice sui bastioni
La mattina fatica e si allena
Così molcisce ogni pena
Auguri dal Giullare
Che sta in città, sui monti e al mare
Massimo e Paola 2021
Quelle stesse cose che per conoscerle ci mettiamo in cammino e attraversiamo
il mare, se sono poste sotto i nostri occhi le ignoriamo. Plinio il giovane
Letti per voi
Gabriella Accorti Materassi, Stefano Materassi, Due passi in centro a Firenze. Venti passeggiate
entro le mura, Firenze, Lorenzo De Medici, 2020
Fernanda Argnani, Viaggiando e guardando. Ricordi ed emozioni, amazon
Gabriele Buttelli, Fuori dal recinto
Paola Capitani, Favole dei Giullari 2021, Firenze, La Nuova Calducci
Barbara Lombardi Santoro, Due passi per Firenze, Masso delle Fate
Giuseppe Longobardi, Noemi, la badante rumena, Masso delle Fate
Lara Swan, Le noci di Abacuc, http://www.laraswan,net
Da giugno 2017 il Teatro in casa con Roberto Venturi e gli attori (robventuri @gmail.com) le letture sceniche presso abitazioni e giardini privati, a Firenze e a Rimini. A Rimini alla Libreria Mondadori, piazza Tre Martiri, alla Biblioteca Gambalunga sezione Mediateca, al Museo della Città, alla Libreria Todo Modo e alla Biblioteca delle Oblate, a Firenze, e nella magica sede di Aquaflor in borgo Santa Croce, tra profumi e arredi d’epoca.
Il fine dell’arte inferiore è piacere, il fine dell’arte media è elevare,
il fine dell’arte superiore è rendere liberi
Proposta incontro di Giullari sul Lago di Brasimone 25 e 26 settembre – Paola.capitani@gmail.com
Link – http://www.lavocecastiglione,it http://www.italiauomoambiente,it www,laraswan,net www.italyfarma.it
http://www.bibloiotecheoggi,it www.terapiadellarisata.it
Spesso ciò che rincorriamo sfugge… quando ci fermiamo, a volte, ci viene incontro. Lara Swan
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Per i fascicoli a stampa – La Nuova Calducci di Marco Fantechi
Redazione: Lucia Bertini, Paola Capitani, Marco Fantechi, Franca Pampaloni, Giorgia Gianni, Roberto Venturi, Giorgio Zanasi
Quaderno “Estri di Giullari” agosto 2021